L’Impatto Sociale della Rivoluzione
Industriale di Enrico Pantalone
La rivoluzione
industriale senz’altro segnò una svolta storica nel corso della storia,
indubbiamente un passaggio atteso da secoli eppure discontinuo nel passato,
semplicemente i tempi erano maturati e si seppe cogliere l’occasione che si
presentava per fare un passo decisivo nel progresso rispetto a solo pochi
secoli prima.
Le macchine da
lavoro, ancorché spartane e primitive, occupavano il posto della mano umana e
lo sostituivano nel dispendio di tempo ed il vapore s’incaricava di “faticare”
al posto dell’uomo, ciò liberava energie mentali che determinarono avanzamenti nella ricerca
del migliore procedimento delle lavorazioni, delle coltivazioni e
dell’estrazione dei minerali.
Gli studiosi di
sociologia inglesi sostengono che ancora nella metà del XVIII secolo non vi era
alcuna palese differenza nell’utilizzo di servizi e di beni di consumo tra un
romano d’età imperiale e un inglese di città, come se per questi fattori, tra
la caduta dell’impero romano e appunto la rivoluzione industriale ci fosse
stato solamente un lungo periodo di gestazione, di studio, di messa a punto
delle dinamiche ma sostanzialmente uno “status quo”.
Poi qualcosa
cambia, le clientele cui ci si rivolge sono divenute molto più vaste rispetto a
quelle dei secoli precedenti e soprattutto le materie prime disponibili in
tempi brevi si sono moltiplicate perché provenienti oramai da tutte le parti
del mondo.
Oramai esistono
pochissimi vincoli a livello industriale e i vecchi sistemi romani utilizzati
ancora nel medioevo sono certamente abbandonati, le scoperte tecnologiche si
susseguono a ritmo incalzante rispetto ai millenni precedenti, una delle cause
è l’incessante richiesta di beni che determina indubbiamente un maggior impegno
per realizzare capacità produttive attraverso nuove e più imponenti risorse.
I paesi
avvantaggiati sono quelli che dispongono di grandi marine con navi capaci di
solcare non più l’angusta pozzanghera mediterranea ma i grandi oceani, la
tecnologia navale aiuta senza dubbio l’esplosione della rivoluzione
industriale, svilupparla significa mantenere il predominio sul mare ma anche
capacità d’aumentare il tonnellaggio per il trasporto di merci.
L’applicazione delle
ultime invenzioni semplificò così nel giro di pochi anni la meccanica dei
comandi delle macchine tanto che s’iniziò a utilizzare sulle linee quelli che
un tempo erano solamente degli apprendisti, sicuramente fagocitò lo
sfruttamento dei minori in questo senso, però per contro liberava il semplice
operaio dalla schiavitù del “maestro di bottega” di sapore medievale e lo
gettava in una nuova, anche se spesso drammatica, esistenza lavorativa.
Si creavano quindi
le basi per permettere ai produttori di esercitare un nuovo ed
importante sistema economico, uscendo logicamente dalla tradizione passata,
così si creo sostanzialmente la grande industria, cioè la concentrazione di
piccole o medie aziende in una società forte e capace di competere sui mercati
internazionali.
L’associazione in
questo campo fece numerosi proseliti anche perché all’inizio del diciannovesimo
secolo si affacciavano prepotentemente alla ribalta i giovani e battaglieri Stati Uniti d’America che grazie
alla libertà totale d’azione lasciata in campo economico unita alla spregiudicatezza
personale divennero presto un punto di riferimento sia industriale che
tecnologico inventivo ed applicativo.
Così si apportarono
alcune modifiche sostanziali al “processo produttivo” che ebbero enormi
riflessi sul sistema economico e sociale.
Il mercante
medievale diventava così un imprenditore, perché era lui che conosceva il
mercato e richiedeva i manufatti che servivano a esso, così trovava più facile
gestire direttamente la produzione e nel contempo dovendo tenere i costi
competitivi trovò cosa più facilmente gestibile l’utilizzo di mano d’opera che
proveniva dal contesto rurale piuttosto che da quello urbano.
Il contadino o il
piccolo artigiano saranno i veri protagonisti negativi della rivoluzione
industriale, più facilmente raggirabili essi diventeranno le involontarie
colonne dello sfruttamento di mano d’opera accettando ritmi di lavoro molto
alti e paghe decisamente basse in confronto a ciò che avrebbero chiesto coloro
che vivevano nelle città.
Il perché abbiano
accettato così supinamente uno sfruttamento, rimane un po’ strano a capirsi,
lungi da me arrogare qualsiasi teoria marxista in questo campo che francamente
ho in uggia, basta un sano conservatorismo catoniano e i suoi scritti famosi per
comprendere lo stato delle cose.
Dal mio punto di
vista ritengo importanti a questo proposito due fattori: le stagioni agreste
morte ed il maggior tempo libero dei componenti famigliari in generale rispetto
a quelli cittadini.
Il contadino doveva
necessariamente lavorare anche nei periodi in cui non vi era lavoro agricolo,
quindi iniziò a lavorare in fabbrica stagionalmente con ogni probabilità per
arrotondare le entrate e nel frattempo facendo lavorare anche i famigliari che
così aiutavano il gruppo sempre normalmente numeroso.
Non dimentichiamo
anche un altro fattore giuridico e sociale, i contadini non operavano in regime
di corporazione, non avevano nessuna difesa “sindacale”, erano quindi
facilmente sfruttabili mentre per contro tessitori, ferrai, tintori impedivano
di fatto che i loro appartenenti cadessero nelle stesse situazioni o comunque
che avessero trattamenti economici simili.
Bisogna essere
altrettanto onesti nel dire che la tecnologia e quindi i macchinari da soli non
erano in grado d’operare evidentemente l’intero ciclo della Rivoluzione Industriale:
occorreva senz’altro, come abbiamo visto in precedenza l’organizzazione delle
risorse umane, la concentrazione di persone in un determinato luogo costruito
per ottimizzare al massimo l’utilizzo delle materie prime, dei derivati ed
anche degli scarti susseguenti alla manifattura dei vari prodotti.
Nel Regno Unito
così si formarono le prime grosse concentrazioni di manodopera umana,
considerando il fatto che gli stabilimenti erano per la maggior parte situati
nelle campagne o nei pressi di borghi rurali, come abbiamo già visto furono i
contadini coloro che permisero la loro creazione, il loro sviluppo e
l’intensificazione produttiva, si ha quindi un’inversione di tendenza rispetto
al passato ed al medioevo, il lavoro cittadino non offre le stesse aspettative
economiche per chi ha sempre lavorato la terra o condotto il bestiame rispetto
alla fabbrica.
Le industrie
tessili e chimiche rurali, motore della rivoluzione, offrono così al contadino
un lavoro più confacente alle sue attitudini, più vicino alla sua mentalità,
come tanto lontano appariva per lui invece il commercio non racchiuso in una
piccola bottega o l’artigianato sviluppato a industria di laterizi o vetri
cittadina per fare un esempio.
L’industria rurale
diventa così per lui una “famiglia allargata”, il suo sfruttamento successivo
da parte degli industriali sarà certamente terribile visto con gli occhi
odierni ma per l’agricoltore, spesso a disagio per il mancato raccolto o la
moria di bestiame sarà una situazione più accettabile, questo creerà una
manodopera a basso costo che, di fatto, permetterà il decollo industriale che
altrimenti probabilmente non ci sarebbe stato.