La vita dei
bambini nelle società contadine di Leonella Cardarelli
Quando si parla di
società contadine si pensa sempre a come vivevano i grandi, a come vivevano i
nostri genitori e i nostri nonni… Ma ci siamo mai chiesti come vivevano i
bambini? Come giocavano… come apprendevano? Cosa facevano?
Nelle società
contadine i bambini vivevano in un modo molto diverso da come vivono i bambini
oggi. La società attuale infatti è caratterizzata da un certo distacco tra
mondo degli adulti e mondo dei bambini, ognuno ha un suo spazio. Inoltre alcune
cose vengono tenute nascoste ai bambini, ad esempio la morte viene considerata
un tabù, un evento inaccettabile.
Nelle società contadine tutto questo non esisteva. Bambini ed adulti pur vivendo in un sistema
gerarchico condividevano il medesimo spazio.
La morte non veniva
tenuta nascosta al fanciullo, anzi gli veniva presentata come una cosa del
tutto naturale, tant’è che i bambini assistevano anche all’uccisione del maiale
(cosa inconcepibile per la società odierna) e quel giorno veniva da loro
vissuto come un giorno di festivo.
Riporto alcuni
frammenti di una testimonianza di Giovanni Boni, rilasciata nel 1974.[1]
- […]Poi un’altra
festa che si faceva era quando si ammazzava il maiale… per noi bambini era una
cosa… straordinaria perché… ci si alzava sempre presto e già bolliva l’acqua
sul fuoco […]. Ci lasciavano un’ora di tempo… chiudevano i portoni del cortile
e tutti i ragazzi erano lì per giocare col maiale prima di ammazzarlo […]
- Ma i bambini non
erano impressionati da questo?
- Nessuna
impressione… non ho mai provato impressione per il sangue che usciva, per gli
urli del maiale… perché si attaccava per aria e si squartava […]. Ci davano una
bacinella per andare a prendere il
sangue […].
Nella nostra
società il bambino, per imparare qualsiasi cosa, ha bisogno di qualcuno che
gliela spieghi.
Nel mondo contadino
invece non funzionava così: il bambino, a parte le ore trascorse a scuola, imparava
direttamente vivendo ed osservando. L’adulto sembrava quasi disinteressarsi
di lui e trattava il figlio come un collaboratore. Non gli spiegava nulla, lo
faceva semplicemente guardare e partecipare. Ad es. i padri si portavano dietro
i figli quando andavano a lavorare e si facevano aiutare da loro in modo che
essi potessero imparare da soli. Spesso l’adulto in questione era il nonno, o
la nonna, con i quali i bambini passavano un gran numero di ore.
Ovviamente con
questo tipo di educazione il bambino diventava autonomo molto in fretta.
Lo stesso metodo di
apprendimento esisteva nel rapporto tra suonatore ed allievo: il bambino che
voleva imparare a suonare uno strumento musicale (ad es. le launeddas), imparava
non tramite insegnamento frontale ma “rubando il mestiere” all’adulto, cioè osservandolo.
Ovviamente il suonatore era consapevole di questo, infatti puniva l’allievo se
sbagliava.
I bambini nelle società contadine giocavano
non solo con i loro coetanei ma anche con bambini più grandi o più piccoli, assorbendo
da essi un mare di stimoli e di insegnamenti, cosa che oggi non accade spesso:
un gruppo di bambini di otto anni non accetta di giocare con i più piccoli e
neanche con i più grandi.
L’unico periodo in
cui madre e figlio vivevano davvero in simbiosi era quello dei primi due anni
di vita del bimbo. Le madri non si staccavano un attimo dal loro figlio, se lo
portavano persino in campagna: lo mettevano in una cesta che poi appendevano ad
un albero mentre loro lavoravano nei campi. Di sera invece lo si appendeva
sopra il letto dei genitori e di tanto in tanto, durante la notte, la madre
tramite una cordicella che toccava con i piedi senza alzarsi dal letto, faceva
dondolare il bambino (questa usanza esisteva soprattutto nell’area alpina).
A questo punto
possiamo introdurre il discorso sulle ninne
nanne, canti che legano madre e figlio.
Vi siete mai
fermati a leggere attentamente il testo di una ninna nanna? La maggior parte
delle persone non si è mai accorta che le ninne nanne non contengono affatto
parole gentili o “pedagogicamente corrette”, come diremmo noi oggi. I testi contenevano,
al contrario figure mostruose e nella maggior parte dei casi parlavano della
condizione femminile, erano cioè dei canti che servivano alle donne per
sfogarsi della loro condizione di subalternità rispetto all’uomo, come dimostra
il testo di questa ninna nanna toscana:
Ninnananna la
malcontenta
Babbo gode e la
mamma stenta
Babbo va
all’osteria
Mamma tribola
tuttavia
Babbo mangia l’erbe
cotte
Mamma tribola
giorno e notte
Babbo mangia e beve
vino
Mamma tribola col
cittino
Babbo mangia li
fagioli
Mamma tribola coi
figlioli
Babbo mangia il
baccalà
Mamma tribola a
tutt’andà
Babbo mangia le
polpette
Mamma fa delle
crocette
Dindirindina la
malcontenta
Babbo gode e la
mamma stenta.
Tra l’altro
accadeva di rado che il canto fosse a voce bassa, tutt’altro… era quasi sempre
molto forte. Lo stesso dicasi sui movimenti per far muovere la culla, che in
genere erano violenti ed entravano a far parte dell’intero universo sonoro
della ninna nanna.
Riporto ora il
testo di una ninna nanna di San Casciano (SI) molto nota, che potrebbe essere
considerata poco adatta ad un bambino, visto che parla di un misterioso ‘uomo
nero’.
Fate la ninna,
fatela la nanna
Bello sto cuoricino
della tu mamma
O, che pazienza che
ci vo
Con sti figli ‘n
c’è più pace
La pappetta non gli
piace
Vonno sta sempre a
sciscià [succhiare]
O, bello il citto e
la mamma no
Lo daremo alla
Befana
Che lo tenga una
settimana
Lo daremo all’omo
nero
Che lo tenga ‘n
anno intero
‘n anno intero, na
settimana
Lo daremo alla
befana
O, che pazienza che
ci vo.
Ovviamente il
repertorio di ninne nanne è vastissimo.
Secondo l’etnomusicologo
Alan Lomax le madri, tramite le ninne nanne, chiedevano ai santi di proteggere
i bambini dalla miseria del mondo in cui erano nati e “così, giorno dopo
giorno, attraverso la ninna nanna, il bambino ha conosciuto il vocabolario, i
moduli musicali, le strutture linguistiche, insomma le basi della sua cultura.”[2]
Questo
apprendimento veniva poi completato con l’addestramento
fisico del bambino: scioglilingua, rime, filastrocche, giochi ritmici che
erano abbinati a movimenti fisici, ad esempio far riconoscere al fanciullo le
varie parti del corpo, battere le mani ecc. Ovviamente al bambino della società
contadina non mancavano i giochi. Per un bambino di oggi è pressoché inimmaginabile
pensare come potevano giocare i nostri padri. “E’ un repertorio di qualità
modesta nel migliore dei casi, che non regge il confronto in creatività,
fantasia, invenzione, che generazione dopo generazione si è rinnovato,
arricchito, trasformato.”[3]
Ci riferiamo ad esempio alle formule magiche che accompagnavano il gioco della “campana”
(o “del mondo”) con i gessi sui marciapiedi o accompagnavano le conte e i
giochi con la palla.
leonellacardarelli@virgilio.it
Per
approfondimenti: Mantovani, S. Lo daremo
all’uomo nero, in Leydi, R., Guida
alla musica popolare in Italia, vol. II, I repertori, Edizione LIM, Lucca,
2001.
(il testo è
pubblicato anche sul sito Qui non è
Hollywood)