Abramo Lincoln e
Ulisse Grant, le rocce dell’Unione
Abramo Lincoln
e Ulisse Grant hanno certamente molti aspetti in comune nello succedersi della
loro vita fino a diventare le rocce indistruttibili e vincenti dell’Unione,
della Repubblica Federale degli Stati Uniti d’America, nel confronto politico e
militare contro gli scissionisti degli stati meridionali che cercarono
d’erigere una contrapposta Repubblica Confederata durante gli anni che vanno
dal 1861 al 1865.
Sia il
presidente Lincoln sia il generale Grant provenivano dal Midwest
(il vero fulcro dal punto di vista umano dell’Unione negli anni di del
conflitto): il primo pur nato nel Kentucky, passò tutta la vita tra Indiana e
Illinois ed il secondo crescendo nell’Ohio prima di andare a West Point e
questa loro provenienza di uomini di frontiera divenne una caratteristica
spiccata e spesso risolutiva quando il conflitto con il sud diventò lungo e
logorante.
Entrambi
provenivano da famiglie oneste, operose e niente affatto ricche, ebbero modo di
crescere ad una scuola dura e alle volte ostile, impararono presto che l’umiltà
e la saggezza erano le doti migliori per poter affrontare la vita di tutti i
giorni, lavorando se necessario fin da piccoli ma non trascurando mai la
cultura necessaria.
Indubbiamente
essi dimostrarono come negli Stati Uniti si poteva raggiungere gli apici della
carriera politica e militare, per merito ed abnegazione personale, pur nascendo
in condizioni umili, di più Abramo Lincoln fu considerato alla stregua di
Giorgio Washington per capacità e pragmatismo nell’operare, entrambi
condividevano infatti l’amore per l’unità del paese prima di tutto e
soprattutto.
Grant, risoluto
e pragmatico come militare, aveva davanti à se molti generali di carriera, più
dediti alla politica che all’azione – non dimentichiamo che negli Stati Uniti
essere a capo dell’esercito significava praticamente essere quasi automaticamente
canditato alla Presidenza della Repubblica – ma seppe
far valere le sue doti fino a diventare l’indiscusso capo di stato maggiore e
indirizzare la guerra contro il meridione verso la vittoria finale.
Lincoln si fidò
sempre di Grant, lo riteneva il più adatto sin dal 1862 a ricoprire il ruolo di
principale responsabile dell’esercito unionista ma la burocrazia del Congresso
e del Senato impose delle scelte quasi obbligate almeno fino a Gettysburg (1863).
Dopo quella
vittoriosa battaglia, egli finalmente ebbe modo di procedere con nomine più
radicali, più consone alla sua natura scegliendo persone più capaci nel
procedere con risolutezza verso l’annientamento delle forze confederate.
Paradossalmente
Lincoln dovette ringraziare parecchio un grande generale virginiano rimasto
fedele all’Unione, George Thomas detto la Roccia di
Chickamauga, per il suo comportamento durante la campagna nel Tennessee, con la
sua eccezionale determinazione alla resistenza nel momento più buio
dell’esercito federale (proprio nella battaglia di Chickamauga, da qui il
soprannome) e quando pareva che esso fosse irrimediabilmente in rotta
disastrosa per l’incapacità dei suoi comandanti in capo nel prendere decisioni
e nel valutare la strategia contro le truppe sudiste.
Thomas, al comando delle sue truppe, prese
in mano la situazione al limite del collasso e della rotta disastrosa,
riorganizzò le fila (compreso anche quelle di altri generali e
dell’inconcludente e deludente Rosencrans) e fece in
modo che il ritiro dalla zona fosse disciplinato e senza dispendio di vite
umane inutili, non solo, egli diede l’impressione al generale confederato Bragg di poter reagire da un momento all’altro evitando
così che il sudista l’inseguisse nella ritirata e permettendo all’esercito
federale di far affluire le riserve richiamate d’urgenza sul luogo senza
ulteriori rischi.
Lincoln ebbe così modo, sfruttando la
paura generale diffusosi a nord dopo la sconfitta rimediata, d’imporre le sue
scelte nella riorganizzazione dell’esercito e dal quel momento per la
Confederazione iniziarono le difficoltà: Grant, Sherman,
Meade, Thomas, Banks, Buford e Sheridan (questi ultimi con la riorganizzata ed
efficiente cavalleria) erano i veri uomini di guerra del presidente sollecitato
in tal senso anche da Halleck, capo di stato maggiore
da tavolo diplomatico ma senza superbia, molta intelligenza e senso pratico, fu
lui stesso a chiedere di cedere la sua carica sul campo a Grant.
Il grande generale confederato Lee capì
immediatamente che le cose stavano per cambiare radicalmente e la guerra
avrebbe assunto certamente toni diversi, Grant aveva ripetutamente sconfitto i
sudisti ad ovest, Thomas lo conosceva bene perché era stato ai suoi ordini, Sherman aveva conquistato la difficilissima roccaforte sul
Mississippi Vicksburg insieme a Grant ed era il suo
uomo di fiducia, Meade era un veterano delle guerre
indiane in Florida e con il Messico che
con intelligenza aveva accettato come superiore il più giovane Grant
riconoscendogli grande qualità operative, Buford era
un altro generale del Sud rimasto fedele all’Unione ed insieme al più giovane
Sheridan era stato capace in pochi mesi di organizzare per la prima volta una
cavalleria in grado di sconfiggere quella sudista fino ad allora ritenuta praticamente
imbattibile.
Lee comprendeva, a differenza del suo
presidente Jefferson Davis e d’altri diversi comandanti confederati, che erano
finiti i tempi dei combattimenti “cavallereschi” e frontali, ora l’Unione
attraverso i suoi granitici generali per battere la Confederazione (contando
sulla sua forza in risorse umane, finanziarie, alimentari e belliche) avrebbe
fatto ricorso ad ogni mezzo (di terrore, distruttivo o di terra bruciata) pur
di vincere la guerra.
Grant e Lee si stimavano e si temevano a
vicenda pur provenendo da backgrounds totalmente diversi, ma erano comandanti
eccezionali e sapevano distinguere i meriti altrui sul piano militare, cercarono
sempre di comprendere l’uno le intenzioni dell’altro e non fu un caso che il
generale sudista s’arrese definitivamente al suo collega nordista comprendendo
che da lui avrebbe avuto un trattamento senz’altro migliore nelle condizioni
rispetto a quello che gli avrebbero riservato generali più politici, ma Lee
sapeva anche che Grant godeva della più totale fiducia di Lincoln al contrario
di quello che invece riservava a lui Davis.
Lee non si sbagliò su Grant, nei termini
di resa discussi e redatti in maniera amichevole seduti comodamente e
ricordando la guerra combattuta insieme nel teatro messicano, il generale
nordista, oltre all’onore delle armi, volle inserire anche una clausola che
permetteva a tutti gli ufficiali confederati di mantenere la propria sciabola e
la propria arma personale: questo fu molto apprezzato dal generale sudista.
I due generali si salutarono levandosi il
cappello ed anche qui Grant volle onorare il suo avversario facendolo per
primo, Lincoln approvò in toto l’atteggiamento del suo comandante in capo, del
resto la sera della resa egli stesso onorò il sud non più ribelle facendo
suonare il Dixie da un’orchestra che improvvisò un
piccolo concerto a Washington.
Indubbiamente
anche nelle strategie belliche da seguire Grant e Lincoln pensavano alla stessa
maniera, entrambi erano consci (nei rispettivi ruoli) che la guerra sarebbe
stata lunga e pesante per i soldati, soprattutto erano ben consci che il teatro
occidentale correndo lungo il grande fiume Mississippi fosse il più importante
per entrambi i contendenti.
Per l’Unione,
infatti, conquistarlo completamente significava tagliare i rifornimenti
provenienti dal Texas (e quindi dal Messico) agli stati atlantici (già sotto
blocco navale dalla Marina nordista) della Confederazione e stringerli quindi
in una morsa denominata “Anaconda” mentre per il Sud era l’esatto contrario,
mantenerlo nelle proprie mani significava la possibilità di resistere più a
lungo.
Lincoln sapeva
anche che il teatro occidentale era lontano dalle grandi città del Nord e che
quel fronte con il dispendio incredibile di risorse finanziarie ma anche umane
poteva essere mantenuto solamente attraverso l’accettazione delle battaglie sul
fronte orientale che davano molta più visibilità in termini di ritorno sull’opinione
pubblica.
Così se da un
lato Lincoln impostava un’azione che si rivelerà quella vincente a lungo
termine - la conquista dei territori sud occidentali dal Golfo del Messico al
Missouri lungo la linea fornita dal Mississippi – dall’altro era costretto ad
accettare il combattimento ( a mio giudizio più di resistenza che di conquista)
con le forze confederate sul terreno a loro più congeniale e nei territori che
esse conoscevano bene (Virginia, West Virginia, Maryland, Kentucky, Tennessee)
andando spesso incontro a sconfitte brucianti ma mai rivelatesi decisive.
Forse il vero
segreto vincente di Lincoln stava proprio in questa politica militare
volutamente ”ambigua”: dare l’impressione di non essere in grado di vincere la
guerra sul fronte orientale per disorientare il suo rivale Jefferson Davis
(molto meno realista di lui come carattere) nelle scelte belliche (alla lunga
certamente decisive) e nello stesso tempo concentrare gli sforzi sul fronte
occidentale dove la forza preponderante di risorse umane e finanziarie delle
armate e della marina unionista non potevano avere eguali rispetto alla
controparte se non nello spirito di resistenza.
Jefferson Davis
non vide o più probabilmente non volle vedere questa doppia politica sul
conflitto di Lincoln (nonostante le continue pressioni del Generale Lee a
questo proposito, l’unico che la comprese subito) e questo può apparire
abbastanza ovvio se pensiamo che la Confederazione viveva soprattutto sullo
spirito dei propri combattenti e sull’unica prospettiva vincente possibile
rispetto all’esito del conflitto, quella del riconoscimento della
Confederazione da parte del Nord.
Questa
eventualità poteva avvenire, secondo Davis, solamente con una numerosa serie di
vittorie in battaglie sul fronte orientale, in maniera da fiaccare lo spirito
dei cittadini negli stati del nord, i quali contribuivano pesantemente in fatto
di risorse umane: in pratica Davis mirava a creare una stabile opinione
pubblica settentrionale contro la continuazione della guerra battendo
ripetutamente le truppe unioniste.
La conquista di
Vicksburg, città cardine per il possesso dell’intero
Mississippi, fu nella logica di Lincoln la chiave del successo finale, perché
una volta conclusa vittoriosamente la campagna militare contro questa
roccaforte con i suoi grandi campi trincerati e le paludi che sembravano
invalicabili per l’esercito unionista, il fronte occidentale era completamente
perduto dai confederati che non avevano più possibilità di ricevere
rifornimenti dal Texas e il presidente federale aveva altresì trovato il
comandante in capo e stratega che cercava per chiudere la partita
definitivamente con i ribelli: il Generale Grant.
Vicksburg fu il vero capolavoro di Grant, una
città assediata già dal 1862 più volte dalle navi unioniste che controllavano
tutto il corso del Mississippi tranne quel lembo di terra che però risultava
decisivo per il transito dei rifornimenti sia di truppa che di
vettovagliamenti.
La città
sembrava davvero inespugnabile, grazie al suo sistema di campi trincerati dal
versante del grande fiume e di eccezionali disposizioni naturali come le paludi
e le fitte foreste che la circondavano dall’altro versante e sembravano
proteggerla in maniera decisiva.
Dai campi
trincerati l’artiglieria confederata aveva sistematicamente eluso ogni
tentativo di espugnarla da parte della marina nordista, pur forte e comandata
da un ottimo ammiraglio come Ferragut, centrando
ripetutamente da poche centinaia di metri con sicurezza estrema le navi della
flotta unionista, infliggendo danni spesso irreparabili e sbarrando la
possibilità di congiungere la flotta proveniente da settentrione con quella di
stazza nella conquistata New Orleans.
Il Generale
Grant, dopo qualche tentativo con truppe scelte dell’esercito più dal sapore
provocatorio e per verificare la reale consistenza delle difese che per manovra
bellica, intuì che Vicksburg si poteva espugnare solo
via terra anche se ciò avrebbe costato sforzi immani e almeno circa un anno di
preparazione considerando anche il trasporto del materiale e quello dei
soldati.
Fu
un’operazione gigantesca spesso nel riserbo più assoluto (infatti, i
confederati non ebbero mai la sensazione di cosa stesse realmente avvenendo),
mai pubblicizzata apertamente e conosciuta da pochi generali nordisti (Sherman, Halleck, Ferragut, Banks) oltre a Lincoln:
i soldati del genio nordista lavorano duramente per mesi tagliando alberi,
creando strade, basi logistiche e bonificando parti delle paludi per renderle
praticabili al passaggio delle truppe anche quando le condizioni meteorologiche
erano disastrose.
Grant più volte,
coordinato con il Generale Banks, fece sbarcare delle
truppe in alcuni punti lontano dai lavori (come nel caso del Red River) per convincere i sudisti che stavano si
preparando qualche iniziativa ma lontano da quella reale e questo grazie anche
alla Marina che si sacrificò in un eccellente lavoro di copertura.
Soprattutto
questa campagna ebbe uno straordinario impatto psicologico positivo sul morale
del soldato nordista, lo “yankee”, il blu che fino ad allora aveva sempre
subito la gloria del suo oppositore il sudista, il “rebel”,
il grigio ritenuto quasi invincibile fino ad allora.
Il soldato
nordista, molto preparato ed equipaggiato militarmente, capiva che si stava
lavorando con un fine ben preciso rispetto al passato, che i suoi grandi sforzi
questa volta non sarebbero andati delusi e che Grant, Sherman
erano generali di cui ci si poteva fidare nell’ottica della vittoria finale,
esisteva una grande comprensione tra comando e truppa, fattore fino ad allora
espresso solamente in campo confederato.
Grant aveva
lavorato molto anche psicologicamente nei confronti dei suoi soldati, sapeva
che tutto dipendeva dalla forza morale che essi avrebbero dovuto impiegare
nella conquista della città di Vicksburg.
Una volta
preparata la spedizione si mosse con la sua armata senza aspettare anche le più
ingenti truppe di Sherman e i suoi rifornimenti, fu
un azzardo incredibile perché egli in pratica recise ogni contatto con la parte
settentrionale del grande fiume, quindi dal resto dell’esercito federale, ma
riuscì ampiamente nel suo piano strategico.
Per la prima
volta dall’inizio della guerra, nella città fortezza del Mississippi, i
nordisti colpirono travolgendole le truppe sudiste completamente impreparate ad
un attacco dalle paludi e dalle foreste, sorprese, in poco tempo annientate e
costrette alla resa anche perché nel frattempo Sherman
aveva portato in posizione i suoi uomini tagliando la possibilità di una fuga o
di ricevere degli aiuti, pochi giorni dopo la caduta di Vicksburg,
il Generale Banks ricevette a sua volta la resa anche dell’ultimo
baluardo sudista sul fiume, Port Hudson: la capitolazione del Sud ad ovest era così
completata.
Lincoln era
soddisfatto di come le cose stavano andando, i suoi piani a lungo termine
iniziavano a dare i frutti sperati e soprattutto tutte le truppe dell’esercito
federale tornarono a sentirsi orgogliose e il morale era tornato altissimo
anche perché negli stessi giorni della resa di Vicksburg
anche a est, su un fronte tradizionalmente ostico per il Nord le vicende
belliche iniziarono ad andare in modo diverso dagli anni precedenti.
Il Generale Lee
nell’intento di alleggerire la pressione delle truppe federali ad ovest, riuscì
a convincere il Presidente Davis che una campagna d’invasione della Pennsylvania
poteva essere d’aiuto in questo senso.
Negli intenti
del Generale Lee si doveva arrivare a tagliare i rifornimenti per le armate
federali occidentali e soprattutto incutere terrore per una possibile conquista
di Philadelfia o in prospettiva addirittura New York,
il che non era un piano assurdo perché il Nord aveva impegnato molte risorse
umane sul Mississippi e quindi appariva un po’ scoperto nella difesa del
territorio.
In realtà, il
Generale Lee intendeva anche approfittare dell’invasione per cumulare quante
più risorse alimentari e animali possibili (ma questo non lo fece intendere
volutamente al presidente Davis) in previsioni di tempi più duri nei mesi
successivi (vedendo molto lontano) contando sulla tradizionale confusione nelle
direttive dei vertici militari federali.
In effetti, il
piano s’era avviato bene con buone parziali vittorie (certo schermaglie non
battaglie vere e proprie) e requisizioni di beni debitamente pagate (con soldi
confederati) ma a Gettysburg trovò l’Armata nordista
del Potomac pronta a sbarragli la strada, non c’era
alcun dubbio era giunta l’ora della battaglia campale che si protrarrà per ben
tre giorni senza soste con un costo di vite umane altissimo.
Nonostante la
proverbiale forza d’urto delle sue truppe sudiste e gli sbandamenti di quelle
nordiste per ordini strategici non consegnati o mal compresi nelle fasi
iniziali della battaglia, il Generale Lee non riuscì ad ottenere significative
conquiste di posizione che gli permettessero d’attendere i rinforzi del generale
Longstreet, la fanteria sudista s’impiantò contro il
muro di quella nordista, sostenuta dal Generale Meade
e per la prima volta vincente dalla cavalleria di Buford
(sotto il suo comando c’era anche un giovane generale di nome Custer) e dopo
aver respinto l’attacco e rimesso in linea le truppe efficacemente passò al
contrattacco.
Lee non era il
capo di stato maggiore dell’esercito sudista e ogni comandante d’armata si
muoveva in maniera autonoma dal punto di vista strategico pur all’interno di un
piano d’azione comune già concordato, questo rappresentò nei primi anni del
conflitto un notevole vantaggio per le forze confederate rispetto alle forze
federali più elefantiache nei movimenti, ma come stava dimostrando Grant ad
ovest e di conseguenza anche Meade a Gettysburg l’esercito nordista aveva superato queste
difficoltà e la sua preponderante forza umana pesava ora molto di più
considerando la falcidia di vite umane che stava avvenendo sul terreno.
Fatto sta che
non ci fu intesa tra Lee e Longstreet sul piano
d’azione e le forze nordiste iniziavano a premere in maniera pesante sulle
truppe sudiste, Longstreet rimandò gli attacchi e Lee
oramai in debito di uomini e vettovagliamenti decise per il ritiro che non
assunse a rotta solamente perché anche i nordisti erano troppo stanchi per
inseguire i nemici.
Su Longstreet e sul suo atteggiamento si parlò a lungo, alcuni
storici sostengono che egli avesse già raggiunto un accordo con i colleghi
federali per il dopoguerra, altri che non volle sacrificare inutilmente i suoi
soldati, sappiamo solamente che egli, terminato il conflitto, entrò in
diplomazia nel governo federale e fu tra l’altro ambasciatore statunitense a
Istanbul.
Lee senza
l’aiuto di Longstreet non poteva fare nulla, il
ritiro era necessario per evitare l’annientamento, dopo la sanguinosa battaglia
di Gettysburg lo spirito dei contendenti era
completamente ribaltato: il sudista era frustrato, deluso e pessimista, il
nordista era al contrario entusiasta, pronto a ripartire e ottimista sull’esito
del conflitto.
Il Presidente
Lincoln, appena quattro mesi dopo la battaglia, volle commemorare tutti i
caduti nordisti e sudisti (circa 50000 soldati) pubblicamente proprio a Gettysburg, inaugurando il cimitero e un monumento che
potessero ricordare l’avvenimento, intrattenendosi ancora sulle ragioni della
guerra e sulla volontà di vittoria finale del Governo Federale per riaccogliere
i fratelli del Sud nuovamente un’unica grande nazione.
Così ancora una
volta il Presidente Lincoln inviò un preciso messaggio a tutti gli abitanti
degli Stati Uniti e della Confederazione, un messaggio di speranza comune: egli
confidava sempre in un atto unilaterale del Sud che mettesse da parte le
controversie e che fosse fautore di un ritorno senza altro spargimento di sangue,
ma al tempo stesso enunciava la fermezza nel perseguire il ristabilimento
completo dell’Unione con la continuazione del conflitto.
Ovviamente il
Presidente Jefferson Davis non replicò, non avrebbe mai accettato la resa a
nessuna condizione, pensava di avere ancora carte fa giocare, ma era
eccessivamente ottimista sullo stato della Confederazione, nonostante Lee lo
ammonisse più volte sul fatto che la situazione si stava aggravando, non
potendo più contare sui rifornimenti texani e con le truppe federali padrone
del sud-ovest pronte a marciare verso est.
Tra Lee e Davis
si sfiorò più volte la drammatica lite definitiva (l’incomprensione era latente
tra i due fin dall'inizio della guerra) e solo la grande etica e l’amore per la
sua terra del Generale fecero in modo che egli non si ritirasse dal conflitto e
si spostasse sulla costa pacifica come aveva lasciato intendere ad alcuni amici:
tuttavia ligio al suo dovere Lee rimase a combattere come sempre fino alla
fine.
Dopo Gettysburg, come sappiamo, Lincoln diede il comando di
tutte le operazioni a Grant e questi in un poco più di un anno obbligò alla
resa definitiva la Confederazione, spesso con tattiche spregiudicate, spesso
con perdite umane pesanti, spesso con una disinvoltura nell’agire che faceva
storcere il naso ai benpensanti del Nord, ma egli era un uomo del Midwest, cresciuto tra la gente comune e non nei salotti
snob o radical-chic e aveva sempre la piena approvazione del suo Presidente.
Così il piano
“Anaconda” procedeva in maniera continua con la conquista da parte del Generale
Sherman, ora comandante in capo delle armate
dell’Ovest, della Georgia e poi delle due Caroline, facendo terra bruciata dei
possibili rifornimenti per impedire alle sparute truppe sudiste rimaste nel
sud-ovest di accedervi: terribile senz’altro come tattica militare ma come
detto in precedenza non v’era probabilmente null’altro da fare per arrivare ad
una rapida conclusione del conflitto.
Le vittorie di
Grant e di Sherman contribuirono senz’altro alla
rielezione di Lincoln che fu salutata dai soldati in maniera entusiastica e
questo dimostrò quanto fosse saldo il filo che legava il Presidente ai
combattenti.
Pochi giorni
dopo la resa del Sud, Lincoln trovò la morte per mano di un sudista squilibrato
e tutti nell'ex-Confederazione, da Davis a Lee, si resero subito conto che
l’atto avrebbe avuto gravi conseguenze sulla politica federale del dopoguerra.
Lincoln
combattendo la Confederazione per mantenere l’Unione, restava sempre un uomo
che credeva nell’umanità e nella comprensione tra gli uomini, era dunque
fiducioso che una volta terminato il conflitto si potesse ricomporre la
fratellanza tra i vari stati federali: certo un sogno utopistico probabilmente
di cui non abbiamo la controprova per la sua morte.
Grant, quattro
anni dopo la morte di Lincoln divenne Presidente (come abbiamo visto più sopra,
tradizione comune negli Stati Uniti l’elezione di un ex-Capo di Stato Maggiore
durante il loro primo secolo di vita), ma i suoi mandati non furono eccezionali
dal punto di vista politico, non era un gran conoscitore della macchina
costituzionale e si fidò troppo di consiglieri non all’altezza, a suo onore di
presidente va detto che egli difese energicamente la libertà e i diritti
acquisiti dagli ex-schiavi nel Sud con leggi appropriate tuttavia tenute in
piedi grazie alle truppe d’occupazione.
Terminato
l’ultimo mandato tornò alla vita civile scrivendo testi militari di gran
portata, Grant fu amato molto dalla gente comune del Nord, come Lincoln, i suoi
funerali furono grandiosi e seguiti da centinaia di migliaia di persone
assiepate lungo tutto il lungo percorso del corteo svoltosi a New York per il
doveroso omaggio finale.
Lincoln e Grant
provenivano dalla gente comune, dalla gente abituata a rimboccarsi le maniche e
lavorare, erano animati gli stessi ideali di giustizia e libertà e
conquistarono il cuore della gente e la vittoria nel duro conflitto civile con
la loro semplicità nel modo d’agire e la loro forza d’animo.