Sociologia e Archeologia
per l’origine dell’architettura romana
di Enrico Pantalone
L’archeologia
se concepita per studiare le attitudini umane, quindi sociali, è senz’altro una
scienza di grande utilità perché tutto sommato ci racconta come l’uomo attraverso
le sue esperienze ha determinato i cambiamenti nel tempo.
Possiamo
dire quindi che mediante l’uso degli strumenti archeologici cerchiamo noi
stessi, cerchiamo la storia dell’umanità intesa come progresso costante nel
tempo, per questo un ritrovamento anche minuscolo spesso risulta
un anello importante per ricostruire ciò che noi siamo stati realmente come
civiltà.
Purtroppo non sempre questa teoria è seguita, non sempre
questo modo d’intendere l’archeologia è tenuto presente, per esempio si tende
ad assegnare spesso una base spirituale a qualcosa che in realtà non ne ha
quasi per nulla, a meno di non forzare in maniera pesante il ritrovamento e
deformare le più probabili origini sociali, spesso dimenticate perché
ovviamente non “portano” vantaggi mediatici, ma richiedono profondi studi e
profonde riflessioni.
L'immagine
tradizionale dell'archeologia è quella legata al periodo del primo romanticismo
nel XVIII-XIX secolo, ambito in cui s'operava più sul documento che nella
pratica (cioè scavando), ed i mezzi non erano certamente quelli odierni.
Fu proprio l'industrializzazione che permise ai grandi
esperti d'archeologia del tempo, inglesi, tedeschi e francesi, di cambiare le
regole dello studio, facendo assumere una filosofia sociale a tutto l'impianto dinamico.
Il
lavoro d'equipe man mano occupò il posto dello scopritore occasionale che agiva
per proprio conto, senza dettami, più seguendo l’intuito che con metodo.
Altra valenza sociale è certamente data
dall'approfondimento di culture agli antipodi rispetto a quella classica
euroasiatica, culture che hanno permesso di concepire nuove metodologie basate
sulla comprensione del ritrovamento in termini d'utilizzo quotidiano.
Molti
studiosi sono ancora titubanti di fronte alla metodologia della socializzazione
nella ricerca archeologica e alcuni propendono sempre per un‘evoluzione della
classica architettura greca che i romani avrebbero mutuato in maniera vigorosa,
ma è altresì vero per contro che le caratteristiche non sono tuttavia ben
riconducibili a quest’unica risorsa in chiave di lettura.
Se da un lato appare vero che il sud dell’Italia era
marcatamente permeato di reminescenze greche, il centro, dove l’evoluzione
dell’Urbe ebbe i natali, è troppo lontano per essere stabilizzata su parametri
e criteri simili ai primi: ne consegue che Roma sicuramente ebbe un background
unico e diverso, magari simile nelle fondamenta, ma con una forza e una
logicità propria.
Del resto, e lo vedremo nei secoli dell’Impero,
quest’accentuazione della diversità porterà a due distinte architetture a ovest
e a est, come nel ripercorrere strade ataviche.
Forse,
e qui probabilmente troveremo la verità, furono diverse le influenze cui Roma
dovette la sua cultura architettonica.
Indubbiamente
la cultura villanoviana fu alla base di quella etrusca e in generale a quella
delle popolazioni italiche come Volsci e Sanniti, ma è pur vero che nella Magna
Grecia le costruzioni erano senz’altro derivanti da quelle dell’Attica, di
Corinto e dell’Asia Minore.
Occorre dunque tenere ben presente tutta questa serie di
variabili per definire dei parametri di corretto studio che non sono certamente
quelli d’unica verità inconfutabile, ma una serie di ragionamenti su ogni
singolo legame derivanti dal quel processo evolutivo dell’incontro tra romani e
coloro che vivevano vicino ai territori dell’Urbe nel corso dei suoi primi
secoli di vita.
Gli
ordini dorici e ionici sono presenti tuttavia, in generale, dal III secolo aC,
mentre nei secoli precedenti, se utilizziamo come parametro un tempio per
esempio, troviamo solamente edifici di tipo etrusco/italico: alto podio, lungo
vestibolo, colonnati anteriore e laterali, colonnato posteriore di tipo
tuscanico con largo uso di legno e tufo.
Questo tipo di costruzione solamente in parte può
definirsi orientale d'origine e sebbene non si possa certamente dire che quella
etrusca fosse l'unica influenza concreta nei primi secoli d'architettura in
Roma, certamente ne fu una delle prime basi logiche.
Al tempo stesso, però, non stiamo forse in questo momento
parlando della Roma che prepotentemente si erge sui destini della storia
antica, stiamo ancora parlando di una città/stato locale che non può
permettersi il lusso di perdere tempo per evolvere una propria cultura
architettonica, s'integra con quella già esistente del popolo più affine che
conquista e con cui si fonde.
In effetti, si potrà parlare d'architettura romana
propria, sviluppata indubbiamente sui canoni greci e orientali, solamente
quando la guerra di conquista inizierà a varcare i confini territoriali del
centro italico, andando incontro ai territori della Magna Grecia, a quelli
insulari, a quelli greci e in Cilicia.
Il
problema principale d’affrontare è senza dubbio quello concernente le fonti
scritte che abbiamo potuto recuperare considerando un documento archeologico
come un legittimo rapporto tra diversi dati paragonabili.
Per esempio, il fatto di collegare una struttura a un
culto eroico della fondazione è indubbiamente un’immagine di stampo greco,
questo è un fenomeno diffuso ovunque nei territori orientali e il suo utilizzo
per sintetizzare il quadro storico in cui s’intende approfondire lo studio
oltre che appropriato è anche necessario.
Il racconto, la narrazione dei fatti diventa quindi un
sistema primario per meglio comprendere l’impostazione architettonica che pian
piano s’è evoluta, gli scavi che si susseguono portano alla luce ciò che serva
datare e quindi a formare una cronologia essenziale prima ancora che lo studio
della dinamica costruttiva.
Sempre
mediante l’analisi dello studio storiografico del tempo e il ritrovamento di
fossili abbiamo la possibilità di ricostruire rituali atavici d’indubbio valore
antropologico.
L’interiezione tra la tarda età del bronzo (XIII-X secolo
aC) e la prima età del ferro (IX secolo aC) è la più affascinante per lo studio
dell’archeologia primitiva romana anche se datata diversamente.
Un
altro punto abbastanza importante e spesso sottovalutato è la difficoltà
esistente nei parametri che definiscono l'architettura romana rispetto all'edilizia
romana, specie quella popolare, non molto chiari in verità ancora oggi ai più..
Non sono per niente trascurabili le differenze che possono
aver fatto optare per delle scelte ben precise, ma logicamente non siamo di
fronte ad un'arte come pittura o scultura tese unicamente alla creazione di
qualcosa di bello esteriormente e che esprima la creatività di chi l'ha fatta.
L'architettura spesso si è proposta a fini economici o
politico-sociali fin dagli esordi prevalendo sull'aspetto puramente artistico:
non tutti sono d'accordo queste affermazioni, ma questo dimostra quanto ancora
sia aperto il dibattito.
In realtà se già Aristotele aveva avanzato questi dubbi in
terra greca, possiamo ben pensare come la cosa non fosse sfuggita ai pragmatici
e sagaci architetti romani (....quasi tutti greci...) e come la realtà sociale
tenesse ben banco nei pensieri di chi edificava.
Archeologia,
sociologia, storia, discipline e realtà che spesso confondono i contorni
nell’antichità, background che legittima aspirazione a studi più precisi e profondi
per una conoscenza sempre maggiore della civiltà umana che esse rappresentano
idealmente.